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KUWAIT: 4 LE DONNE IN PARLAMENTO Stampa E-mail

Solo nel 2005 avevano conquistato il diritto di voto. Oggi sono 4 le donne neoelette al Parlamento kuwaitiano.

Con una spallata alle forze più conservatrici del paese, i kuwaitiani chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento hanno scritto una rivoluzionaria pagina di storia eleggendo, quattro donne.

Per la prima volta quattro donne hanno conquistato altrettanti seggi nel parlamento del Kuwait. Le donne hanno ottenuto il diritto di voto e di candidarsi nel 2005 ma sia nelle elezioni del 2006 che in quelle del 2008 non era mai accaduto che una donna fosse eletta. Nelle ultime elezioni, c'erano 16 donne tra i 210 candidati ai 50 posti al parlamento. A conquistare i seggi sono state le due candidate liberali Aseel Awadhi and Rola Dashti, entrambe hanno studiato negli Usa. L'ex ministro della salute Massouma al-Mubarak, che è stata il primo ministro donna nel 2005, e un'altra candidata Salwa al-Jassar, avranno un posto nel nuovo parlamento del Kuwait.

Dal voto è emersa anche un’importante perdita di consenso dei fondamentalisti musulmani, che sono passati da 24 seggi ai 16 attuali. Il Kuwait non riconosce ufficialmente i partiti. I candidati possono essere indipendenti, appartenere a gruppi o rappresentare semplicemente le loro tribù. I kuwaitiani alle urne hanno detto di essere stanchi delle contese fra deputati e membri dell’esecutivo, che hanno portato a tre elezioni e addirittura cinque governi in tre anni. Le crisi politiche hanno di fatto congelato lo sviluppo nel ricchissimo paese petrolifero in un momento in cui si trova ad affrontare la pesante congiuntura economica globale e sono crollati i proventi delle vendite dell’oro nero, che rappresentano il 90% delle entrate del Paese arabo.

LA SITUAZIONE - Nell’emirato conservatore, fra le rarissime democrazie del Golfo, il Parlamento conta 50 seggi, il trono è ereditario e il sovrano nomina il primo ministro. Sempre l’Emiro decide quando sciogliere la Camera. I risultati ufficiali delle consultazioni di sabato sono stati annunciati dalla magistratura ai microfoni della tv di Stato. Il Kuwait guida la regione nella lunga marcia della conquista per i diritti politici del popolo. Diversi osservatori, però, sostengono che la stabilità e l’economia abbiano molto risentito di un ruolo eccessivamente forte del parlamento, che l’ha portato a frequenti scontri con i ministeri del governo che sono ancora selezionati e governati dalla famiglia reale. Il voto di sabato è risultato da uno di questi conflitti, che ha portato l’emiro a sciogliere il parlamento e convocare le elezioni, per la seconda volta in un anno.

19 maggio 2009

 
Solidarietà alle donne afgane: sit in a Roma mercoledì 6 maggio Stampa E-mail

La legge schiavista che si vuole approvare in Afganistan – che chiamano nuovo diritto di famiglia- prevede l’obbligatorietà per la moglie di ogni atto sessuale richiesto dal marito, trasformando la libera sessualità coniugale in stupro; obbliga le donne a non opporre resistenza; vieta loro di uscire di casa, cercare lavoro, frequentare la scuola, né possono andare dal medico senza il permesso del marito; affida la custodia dei figli esclusivamente a padri e nonni.
I diritti delle donne sono diritti umani (ONU) e per affermarli troppe donne afgane sono state uccise negli ultimi anni. Quelle che nei giorni scorsi hanno manifestato contro questa legge sono state prese a sassate!

 

Non dobbiamo lasciarle sole.

Mercoledì 6 maggio 2009 dalle 17 alle 19, davanti all’Ambasciata dell’Afganistan,

Via Nomentana 120 Roma

 
Per chiedere al Presidente Karzai e al Parlamento afgano che la vita, la libertà, il corpo delle donne non siano mai oggetto di trattativa –aperta o sotterranea- sia con i talebani che con le istituzioni locali

Per chiedere che l’Italia, che sostiene anche con i propri  soldati il Governo  afgano, faccia sentire la sua voce e, tenendo conto anche della risoluzione approvata a maggioranza dal Parlamento Europeo il 24/04/09 sui diritti delle donne afgane, si adoperi perché la legge non sia solo bloccata, ma RITIRATA.

Per sottolineare che senza la presenza attiva delle donne il Governo attuale sarà sempre debole e a rischio di fondamentalismo.

Per ricordare la ferocia dell’occupazione talebana basata sulla schiavitù totale delle donne alle quali l’ unico protagonismo concesso è quello di essere Kamikaze!   

Durante il sit-in una delegazione porterà queste richieste all’Ambasciatore dell’Afganistan perché le inoltri al Presidente Karzai. 


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Solidarietà alle Donne Afgane!

 Contro ogni loro sconfitta perché sarebbe anche la nostra

 

 
RU486: Affondo del Vaticano, Arcidonna no alle ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche Stampa E-mail

Ancora una volta il Vaticano condanna la pillola abortiva Ru486. «Non è un farmaco innocente per la salute delle donne»,ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, il cardinale Javier Lozano Barragan.

Cosa significa avere un figlio fuori dal matrimonio e tutte le difficoltà in cui si possono trovare le persone in questi casi: è un dramma, ma c'è anche una gerarchia dei drammi e il dramma peggiore e più grande è la morte, tanto più se inflitta ad una persona innocente come un figlio che deve nascere». Per il cardinale abortire vuol dire «togliere la vita una persona innocente, l'embrione è un essere umano con tutti i diritti».

Occorre considerare gli innumerevoli casi in cui una donna è incinta contrariamente alla sua volontà – dichiara valeria Ajovalasit, Presidente nazionale di Arcidonna – come per esempio i casi di violenza sessuale che invadono le cronache di tutto il mondo. La libertà di scelta è un diritto in ogni paese democratico. Ostacolare e/o impedire la scelta drammatica di una donna, tanto più se vittima di violenza, è anch’essa una violenza. In uno stato laico e democratico – contnua la presidente - nessuna dottrina può essere imposta per legge.

 
LEGGE 40: STOP DELLA CONSULTA, ARCIDONNA LEGGE DA RIVEDERE Stampa E-mail

La Corte Costituzionale boccia la legge 40 sulla fecondazione assistita. I giudici della Consulta hanno infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 2, della norma, nel punto in cui prevede che ci sia un "unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" di embrioni. Viola la Costituzione anche il comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. La Corte, infine, ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza nei giudizi principali, la questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 6, inerente l'irrevocabilità del consenso della donna, e dei commi 1 e 4.

"La sentenza della Consulta che dichiara illegittime alcune norme della legge 40 sulla fecondazione assistita - sottolinea Fini in una nota - rende giustizia alle donne italiane, specie in relazione alla legislazione di tanti Paesi europei. Fermo restando che occorrerà leggere le motivazioni della corte, mi sembra fin d'ora evidente - aggiunge il presidente della Camera - che quando una legge si basa su dogmi di tipo etico-religioso, è sempre suscettibile di censure di costituzionalità, in ragione della laicità delle nostre istituzioni".

La sentenza della Corte riporta un po' di ragionevolezza nella legge 40, impedendo l'obbligo di produrre non più di tre embrioni e di impiantarli tutti insieme nella donna a prescindere dalla sua condizioni di salute e dalla sua età", dice Anna Finocchiaro, Presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama. "Penso aggiunge la Finocchiaro - che da questo momento in poi sia necessario un ripensamento anche sul modo di legiferare su questi temi compreso il testamento biologico".

"La legge 40 va rivista – dichiara Valeria Ajovalasit, Presidente nazionale Arcidonna – non solo alla luce di questa sentenza che pure apprezziamo. Questa legge è troppo lontana dalle vere esigenze delle coppie infertili, per questo è utile che si riapra confrontro con gli attori principali tra società scientifiche, istituzioni e associazioni di pazienti per trovare un percorso nuovo e condiviso, anche sul tema del testamento biologico, in uno stato che, come dice giustamente il Presidente Fini, è laico."

 
AFGANISTAN: STUPRO IN FAMIGLIA. E' LEGALE Stampa E-mail

Mentre all'Aja la comunità internazionale discute del futuro dell'Afghanistan, scoppia la polemica, a Kabul e non solo, per una legge recentemente approvata dal parlamento afghano che, secondo l'interpretazione di fonti delle Nazioni Unite e di diverse associazioni per i diritti delle donne, obbliga le mogli ad avere rapporti sessuali con il marito e vieta loro di cercare lavoro, istruirsi o farsi visitare da un medico, senza aver prima il permesso del consorte. «I diritti delle donne in Afghanistan sono un motivo di «assoluta preoccupazione» per gli Stati Uniti, ha detto il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, in un incontro stampa all'Aja. «Non si può sviluppare un paese se metà della sua popolazione viene oppresso», ha aggiunto Hillary Clinton, senza citare la legge al centro delle polemiche.

IL NO DELL'ITALIA- La legge ha causato una levata di scudi anche in Italia: «Non possiamo girare lo sguardo dall'altra parte ed essere indifferenti a quanto sta accadendo in Afghanistan, un Paese che, anche se lontano, ha di fatto legalizzato la barbarie nei confronti delle donne»: ha detto il ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna.

«Inconcepibile e molto preoccupante la deriva che il governo afgano sta intraprendendo, – dichiara Valeria Ajovalasit, Presidente nazionale di Arcidonna, - ai danni delle donne che di fatto in questo paese non hanno alcun diritto. Questa legge è sintomo di quell’arretratezza culturale che, come conviene che sia, dà potere agli uomini e relega le donne in una condizione di assoluta sottomissione; in un paese che non “brilla” di certo per democrazia, gli Stati impegnati sul territorio afgano non devono assolutamente abbassare la guardia sulla questione dei diritti e delle libertà delle donne che sono forza e motore di sviluppo in tutti i paesi del mondo. Afganistan compreso.»

 
IL PAPA IN AFRICA: NO AI PRESERVATIVI, ARCIDONNA COMBATTERE LA MALATTIA CON LA PREVENZIONE Stampa E-mail

Benedetto XVI ha inaugurato il suo viaggio in Africa attaccando i condom: “Non servono a sconfiggere l’Aids”. Critiche da Arcidonna: “Una tesi aberrante. Vergognoso, poi, il silenzio del governo e della politica italiani”

“L’epidemia di Aids non si supera con la distribuzione dei preservativi che, anzi aumentano i problemi”. Sono le parole con cui il papa Benedetto XVI ha inaugurato il suo viaggio in Africa, continente dove ogni giorno muoiono centinaia di uomini, donne e bambini a causa di questa grave malattia. “E’ una tragedia che non si può superare solo con i soldi – ha continuato - non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi. Serve invece, un comportamento umano morale e corretto ed una grande attenzione verso i malati”. In altre parole, serve praticare l’astinenza sessuale.

Contro questa tesi, quantomeno discutibile, si sono scagliate numerose associazioni di volontariato che operano in Africa e varie autorità politiche, compresi i governi di Francia e Germania e l’Unione europea. Persino dal mondo cattolico in molti hanno sollevato perplessità sulle parole del Pontefice. Solo l’Italia è stata a guardare.

Quello del governo e della politica italiana è un silenzio assordante e vergognoso – dice Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna – Siamo uno stato laico e repubblicano. Eppure, i nostri governanti e i nostri politici (di entrambi gli schieramenti) non hanno saputo difendere i valori che ispirano la nostra Costrituzione, prendendo le distanze dalla tesi di Benedetto XVI. Una tesi aberrante, smentita, del resto, dai fatti. L’Aids, che sta sterminando l’Africa, si sconfigge con la prevenzione

 
CONSUMI: SONO LE DONNE CHE DETERMINANO L'80% DEGLI ACQUISTI Stampa E-mail

La società di consulenza A.T. Kearney ha recentemente stimato che le donne determinano l'80% degli acquisti in generale. Preparatevi a un anno dedicato al sesso femminile, alle sue esigenze, ai suoi desideri e aspirazioni. Del resto, che ciò sia necessario viene confermato anche dai dati di Boston Consulting, che segnala come, in un campione di 1.000 affluent women, solo il 39% si dichiari soddisfatto dell'offerta in settori come hotel e aerei. Sono solo un paio di esempi, la situazione non migliora negli altri settori. Un mercato vastissimo, per lo più non coperto dalla maggior parte delle imprese che, se negli anni hanno dimostrato via via maggiore sensibilità a questo pubblico, non hanno mai (salvo rari casi) dimostrato con convinzione di volersi concentrare prima di tutto su un pubblico femminile piuttosto che su quello maschile. Significa, per molte aziende, rivedere anche drasticamente la propria linea di prodotti, la propria strategia o addirittura il posizionamento. Serve coraggio per farlo.

Sconfinamento di campo

Considerate il settore del bricolage, da sempre fortemente “maschile”: eppure, sono sempre più donne quelle che cercano prodotti per il fai-da-te. Ma in genere non trovano un'offerta adeguata. Perché il fai-da-te femminile è fondamentalmente diverso da quello maschile: prevede - per esempio - una ricerca dello stile e della qualità estetica da cui molti uomini prescindono. Ecco che Home Depot, grande catena americana del bricolage, da sempre basata su grandi punti di vendita che mettono in primo piano minacciosi trapani o seghe dai denti affilatissimi, ha iniziato ad aprire nuove superfici basate sul concetto di interior design. I prodotti sono per lo più gli stessi, ma vengono organizzati per tematiche di arredo. E il punto di vendita è caldo e accogliente. Ovviamente, bisogna rifuggire dagli stereotipi. Una delle più grandi generalizzazioni che tanti dipartimenti di marketing hanno adottato negli ultimi anni è quella della “mancanza di tempo”. Le donne, si diceva, hanno poco tempo e dobbiamo fare in modo che possano acquistare rapidamente.

Come spiega l'esperta di marketing femminile Fara Warner nel suo libro “The Power of the Purse”, pubblicato per ora negli Stati Uniti, non è vero che tutte le donne abbiano poco tempo. E non è detto che non decidano di impiegare quel poco che hanno proprio nel vostro punto di vendita. Piuttosto, è il caso di impegnarsi a capire quali servizi potete fornire loro. Date una motivazione per entrare e restare nella vostra superficie.

Pragmatismo maschile

Diversamente dal consumo maschile, più pragmatico e individuale, quello femminile è maggiormente gratificato da questi aspetti umani ed emotivi. Come è interessato alla possibilità di abbinare, provare, associare elementi. Il “tutto pronto”, molto gradito a molti clienti maschili, è invece del tutto frustrante per un pubblico di sole donne. In California sta ad esempio spopolando la nuova superficie Fashionology: una sorta di negozio di bricolage della moda. Grazie a schermi interattivi, ogni cliente può disegnare il proprio abito perfetto, toccando i tessuti presenti in negozio, aiutandosi con tagli e modelli già pronti e infine ricevendo dopo pochi giorni la propria creazione. Unica, come ogni cliente intende sentirsi. C'è ancora tanta strada da fare nel mondo del retailing al femminile, e questo 2009 dovrà essere l'anno in cui molte imprese cresceranno o cadranno proprio su questo delicato comparto.

 

Tratto da: Il Sole 24 Ore

 

 

 
VIOLENZA DI GENERE: GINECOLOGI AL FIANCO DELLE DONNE Stampa E-mail

La Società italiana di ginecologia scende in campo contro le violenze sulle donne e annuncia: “Il nostro compito non è solo quello di curare. Ci impegneremo attivamente con una campagna articolata per aumentare la sensibilità fra i nostri soci e aiuteremo le nostre pazienti a denunciare”

Contro la violenza alle donne, soprattutto quella domestica, più diffusa e insidiosa, il ginecologo rappresenta uno dei principali alleati delle donne. A dirlo, assicurando impegno da parte degli specialisti, è Giorgio Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che ricorda i dati presentati nei giorni scorsi dal 'Telefono Rosa', secondo i quali sempre più spesso l'autore della violenza si nasconde in casa. "La violenza sulle donne - afferma Vittori - continua a rappresentare la principale minaccia alla loro salute, fisica e psichica: sono più di mezzo milione (520 mila) quelle dai 14 ai 59 anni che nel corso della loro vita hanno subito una violenza tentata o consumata, il 3% del totale in quella classe d'età", sottolinea.
"Come società scientifica che raccoglie la gran parte dei ginecologi italiani - aggiunge Vittori - vogliamo impegnarci attivamente con una campagna articolata per aumentare la sensibilità fra i nostri soci sul tema della violenza e sulla la consapevolezza degli interventi da mettere in atto quando si riscontra un episodio a danno di una paziente. Ma anche e soprattutto per portare questa questione in evidenza e denunciarla con forza, per promuovere un cambiamento culturale profondo. Un obiettivo che risponde alla nostra mission più autentica: ridare valore al femminile a 360 gradi". Lo specialista, spiega Vittori, segue la paziente per molti anni, in tutte le più importanti tappe della vita, e ne conosce da vicino anche la famiglia e il contesto sociale. "Noi ginecologi - continua l'esperto - siamo convinti di poter rappresentare una sponda importante per le nostre pazienti, a cui leggiamo negli occhi e nel corpo i soprusi subiti. Il nostro ruolo non è tanto, o non solo, intervenire su organi che devono essere curati, ma soprattutto proporci come 'investigatori colti' alla ricerca della causa del disagio e della giusta terapia. Senza contare che spesso siamo chiamati a seguire la donna in una 'non malattia', come nel caso della gravidanza, della salute riproduttiva, della menopausa". E il principale strumento diagnostico, avverte Vittori "è la comunicazione. Il ginecologo informa, educa, consiglia. Quindi - conclude - può e deve intervenire anche nelle storie di violenza: non solo quando richiede cure mediche, ma anche se si presenta come una malattia relazionale, di abuso nei confronti di un'altra persona ritenuta di minor valore".

 

 
PRECARI SICILIANI: LA MAGGIORANZA E’ DONNA Stampa E-mail

Da un’indagine della Regione è emerso che su circa 6.700 lavoratori socialmente utili, ben 4.973 sono donne. Tutte in attesa di stabilizzazione

Quando si dice che il precariato è donna: su circa 6.700 lavoratori socialmente utili in Sicilia, ben 4.973 sono donne. E’ quanto emerge da un’indagine effettuata dall’Agenzia regionale per l’impiego. Dai dati vengono fuori altre curiosità: tra gli Lsu ancora da stabilizzare c’è  un catanese di 73 anni e oltre venti precari ultrasessantacinquenni. «Faremo subito una segnalazione all'Inps - dice Lo Nigro, dirigente generale dell’Agenzia - perché queste persone hanno titolo per ottenere la pensione, oppure, non ne hanno diritto perché percepiscono altri redditi. E, quindi, non possono continuare, in ogni modo, a ricevere l'assegno da Lsu». La provincia con più Lsu da stabilizzare è Messina, con circa duemila, seguita da Palermo, con oltre 1.200 e Trapani con più di 1.100. Gli ex Lsu con contratto di diritto privato non a tempo indeterminato, sono invece 12.980, mentre quelli per i quali la Regione eroga agli enti utilizzatori un contributo di 35 mila euro per cinque anni per la stabilizzazione sono 11 mila circa.
«Il tavolo tecnico - ha spiegato l'assessore regionale Incardona - si occuperà di individuare forme di stabilizzazione definitiva anche per loro. Il Parlamento ha prorogato a tutto il 2009 le attività dei Lsu e i termini per l'attuazione delle misure di fuoriuscita e stabilizzazione, stanziando 287 milioni».

Arcidonna chiede all’assessore Incardona un maggiore attenzione nei confronti della posizione lavorativa delle donne lsu. «Che il precariato sia donna, soprattutto in Sicilia, non è certo una novità – dice la presidente Valeria Ajovalasit – Tra gli Lsu, ben il 75 per cento è di sesso femminile. Per questo, la nostra associazione chiede ufficialmente all’assessore Incardona di far parte del tavolo tecnico per la stabilizzazione». 

 
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