Osservatorio di genere


Arcidonna News Le femministe che vengono dal web
Le femministe che vengono dal web Stampa E-mail
Hanno tra i venti e i trent' anni, si organizzano sui siti e discutono nei blog. Viaggio tra le internaute che sulla rete sperimentano la nuova voglia di partecipazione Le streghe sono tornate, o forse non se ne sono mai andate. Si mostrano con foschi cappelli a punta o rosei bigodini, ma questa volta sono come smaterializzate, incorporee, perché virtuale è il mondo che le ha generate, la grande rete invisibile nella quale hanno costruito il nuovo femminismo, senza conoscersi e fuori dalle appartenenze. Le web streghe, dunque. Creature internettiane con i loro blog, il profluvio di mail, il codice visivo preferito a quello scritto, i nomi provocatori come Le mele d' Eva, A-matrix, Luna e le altre, Sexy Shock. Streghe giovanissime tra i venti e i trent' anni, che hanno pratiche e linguaggi incorporei - in questo assai distanti dalle madri inclini a una corporea autocoscienza - però capaci di trascinare in piazza una moltitudine di donne, come è accaduto a Roma sabato scorso. Questo solo sembra contare. Sono le protagoniste storiche ad applaudire il movimento risorto, prodigiosamente rifiorito, non importa se con qualche sguaiata intolleranza, con inattese esclusioni e improvvidi assalti al «palco d' inverno». «Da sempre la rivendicazione femminile è segnata da rabbia e provocazione», dice Elena Gianini Belotti, tra le artefici della stagione aurea con il leggendario Dalla parte delle bambine. Dopo un lungo silenzio, il femminismo riprende voce. Da Lea Melandri a Chiara Saraceno, da Maria Luisa Boccia ad Anna Bravo, la diagnosi è univoca, anche venata di stupefatto ottimismo. Nessuna in fondo se l' aspettava. I simboli e le icone riaffiorano dal passato, anche l' allegria un po' rancorosa, la croce cerchiata sui volti di biacca, le dita delle mani a triangolo, ad evocare il controllo del proprio corpo. Ma se le madri lottavano per la libertà di non aver figli - vedi la legge sull' aborto - queste di oggi lottano anche per la libertà di farli - vedi la legge sulla fecondazione. «Comune è il rifiuto di una normativa sul corpo», commenta Maria Luisa Boccia, storica della filosofia politica e figura di spicco del femminismo. «Anche se in queste richieste contrapposte è già evidente la distanza generazionale». Per Anna Bravo, studiosa non conformista, «più che un' analogia è una ripetizione. Il segno delle dita a triangolo aveva senso nella fase aggressiva della lotta per l' aborto, ma oggi? Poi l' utero quando è "abitato" non è più solo mio, cioè io ho il diritto di decidere, ma bisogna sapere che non decido solo per me, ma anche per qualcuno o qualcos' altro, il feto. Se le più giovani non se ne rendono conto, noi vecchie abbiamo una bella responsabilità!». Un gioco di citazioni e rispecchiamenti sembra avvolgere il femminismo di ieri e quello di oggi, a cominciare dal separatismo così pervicacemente rivendicato sabato sulla piazza romana, quel «no!» gridato all' altra metà del cielo, che trent' anni fa aveva un significato dirompente, «il recupero della soggettività femminile lungamente conculcata», interviene la sociologa Chiara Saraceno, «ma oggi mi chiedo dove porti». Quella degli anni Settanta era una novità assoluta, «le donne prendevano atto della propria forza e la mostravano in pubblico», ricorda Anna Bravo. «Oggi però il separatismo mi sembra ingiustificato». Un' esclusione, quella maschile, che ai più appare un rigurgito di veterofemminismo, ma che Angela Azzaro, responsabile delle pagine culturali di Liberazione e tra le animatrici del corteo romano, non esita a difendere come sacrosanta: «Far sfilare gli uomini al nostro fianco avrebbe significato rassicurarli: mentre il nostro intento era esattamente il contrario, sollecitare nelle coscienze maschili una riflessione sulla violenza che ancora non c' è stata». «La donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta», urlavano irridenti le femministe al principio degli anni Settanta. «Un uomo morto è un uomo che non stupra», è l' eco un po' macabra di oggi. Allora la guerra al maschio appariva necessaria in un' Italia ancora feudale e profondamente contadina. Solo nel 1975 un nuovo diritto di famiglia poneva fine a discriminazioni secolari, con la parità giuridica tra i coniugi e l' attribuzione a entrambi della patria potestà. Soltanto allora veniva meno l' obbligo per le mogli di seguire il marito, e anche l' istituto della dote. Un paese lontano anni luce dall' attuale, nel quale sofferenze di secoli, da sempre coperte dal silenzio, esplodevano finalmente in una dimensione pubblica. Ma oggi? Oggi dopo la riforma della famiglia, dopo leggi fondamentali come il divorzio e l' aborto? «Sì, il paese è progredito sul piano legislativo», replica Elena Gianini Belotti, «ma è rimasto arretrato sul piano del costume e della mentalità. Gli uomini, nonostante tutto, non sono cambiati. Anzi, sono più disorientati. E se le donne si trovano a gridare gli slogan di trent' anni fa è perché su molti terreni siamo daccapo». Lo stupro è solo il segno più evidente/ siamo violentate quotidianamente: è uno striscione del 1976, ma secondo molte delle interpellate potrebbe sfilare in una piazza contemporanea. «In Italia più di cento donne all' anno sono vittime di omicidi dentro le mura di casa», ricorda la Gianini Belotti, che sta preparando per Laterza il libro Amorosi assassini. «Un massacro che continua nella totale indifferenza maschile. Se accadesse il contrario, se cento uomini venissero uccisi ogni anno dalle donne, ci sarebbero furibonde interrogazioni parlamentari». «La famiglia è a rischio? La famiglia è un rischio», hanno gridato le neofemministe nelle piazze di Roma. Oggi, come ieri, si celebra il processo alla Famiglia, «luogo potenzialmente violento», «cristallizzazione di gerarchie e subalternità». Un tema anche questo antico, che risale agli anni Sessanta e forse ancor prima, nutrito di letture allora fondamentali come le teorie di David Levy sulla «mamma iperprotettiva» o «la genitorectomia» invocata da Bruno Bettelheim. Ma se un tempo ci si limitava a denunciarne la struttura repressiva, oggi ci si butta nel transgender, il superamento di confini e identità sessuali, gli amori lesbici, la decostruzione dei generi predicata da Judith Butler, autrice di culto e teorica del queer, la convinzione che l' identità di genere sia solo una costruzione sociale. La mamma no, la madre non si tocca. Madri simboliche con cui accompagnarsi. «Una novità di oggi è anche nella trasversalità generazionale», dice Lea Melandri, memoria storica del femminismo. «Noi ci ribellavamo alle nostre genitrici, vere e ideali, insofferenti a qualsivoglia primogenitura. Queste più giovani ci vogliono al loro fianco. Non c' è lo strappo rispetto alle donne che le hanno precedute». E quello strappo violento rispetto alle parlamentari e alle ministre: se le femministe storiche gridavano «il privato è politico», qui non c' è forte il rischio dell' antipolitica? «Diagnosi fuorviante», rispondono in coro le protagoniste di allora. Dietro la cacciata di Prestigiacomo e Carfagna («sgradevole e sbagliata») e dietro l' espulsione delle ministre Melandri, Turco e Pollastrini («sgradevole ma comprensibile»), si nasconde il desiderio di una politica diversa. «Non è un caso», racconta Chiara Saraceno, «che lo striscione "vaffagrillesco" sia stato oscurato dietro altri slogan. Direi piuttosto che è stata indelicata la presenza delle ministre su un palcoscenico osteggiato dalle neofemministe, ostili come lo eravamo noi a ogni forma di protagonismo». Una vecchia storia: il rifiuto d' una monumentalità gerarchica e verticale - il palco - a favore di un' orizzontalità che è pluralismo di voci. Puro cretinismo, come l' ha liquidato Giovanna Melandri? «Continuo a pensare che si sia trattato di idiozia politica», sostiene a freddo la ministra. «Non era un palco, ma un gazebo, strumento tecnico di La 7. La battaglia contro la violenza riguarda tutte noi: non può essere appannaggio solo di alcuni gruppi». La lotta per «l' esclusiva», anche questa è una costante del movimento, le feroci discordie su cosa sia il Vero Femminismo. Nessuno però ricorda esempi analoghi di cacciata di donne da parte di altre donne. Molti litigi sì, anche in tribunale: per questioni di proprietà di sigle o di riviste. «Erano così minacciose per la riuscita del corteo queste politiche?», s' interroga Anna Bravo. Nei blog la discussione ferve, raddoppiano le mail. Le streghe sono tornate, ma questa volta sul web.

tratto da: La Repubblica
 
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