"Donne, la lotta continua" Intervista a Naomi Wolf Print
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Edonismo e consumismo. Sono la nuova deriva del movimento di liberazione americano. Mentre è tempo di tornare a occuparsi dei diritti fondamentali. Colloquio con una delle maggiori esponenti del femminismo statunitense

Il femminismo occidentale è prigioniero di atteggiamenti edonistici. Mentre nel resto del mondo le donne sono vittime della guerra e dell'autoritarismo, la femminilità delle donne dei Paesi sviluppati viene compromessa dal consumismo e dal fascismo incipiente di nazioni come gli Stati Uniti... Naomi Wolf, autrice di The End of America e una delle maggiori esponenti del femminismo statunitense, descrivendo un futuro che è già presente, invita le donne occidentali a combattere per l'espansione della democrazia, a riscoprire la centralità della famiglia, del rapporto con il maschio e a ridare una dimensione spirituale alla ricerca sessuale.

La sua ultima opera, 'The End of America', è un libro squisitamente politico e segna una dipartita radicale dalle tematiche femministe. Che cosa rappresenta nel pensiero femminista?
"Il progetto femminista è solo una parte del grande movimento politico internazionale per l'emancipazione umana. Ed è parte integrante della battaglia più vasta a favore dei diritti civili e delle libertà umane. Proprio perché queste libertà stanno subendo un profondo attacco, sia negli Stati Uniti che in altre parti del mondo, sono convinta che in questa fase ci si debba impegnare maggiormente sul fronte politico e anti-autoritario".

Si tratta di una scelta personale o invece la percepisce come una nuovo territorio dell'impegno femminile?
"Una scelta personale, ma anche un terreno sul quale si dovrebbero impegnare tutte le donne. E non direi che è nuovo. Storicamente, negli Stati Uniti le donne si sono impegnate sul versante delle tematiche politiche più disparate. Da quelle per i diritti sindacali a quelle per i diritti civili delle minoranze di colore, dal movimento Free Speech a quello pacifista contro la guerra in Vietnam. Negli ultimi anni, a livello federale è aumentato significativamente anche il numero delle donne che si stanno presentando alle elezioni. Ma il più delle volte si tratta di scelte individuali. Il movimento femminista in quanto tale per adesso su questo fronte rimane dolorosamente assente e invece dovrebbe scegliere di emergere dall'ambito delle tematiche sessuali e della contraddizione maschio-donna per impegnarsi nella lotta alla tirannia e al fascismo. Non bisogna fargliene però una colpa se le femministe non sono così impegnate come dovrebbero. Quello dell'espansione della democrazia è un fronte sul quale la società civile nel suo complesso dovrebbe essere impegnata e invece, di sicuro negli Stati Uniti, ci crogioliamo tutti in un'orgia di consumismo e superficialismo".

Eppure in Cina, India, Africa e Medio Oriente le donne sono ancora bersaglio di violenze inimmaginabili. Crede veramente che la democrazia sia la risposta ai loro problemi?
"Assolutamente sì. Le donne vivono meglio nelle società democratiche e quando questo non è il caso possono fare molte cose per cambiare la loro situazione. Le donne che vivono in stati polizieschi e società oppressive non hanno alcuna possibilità. La comunità internazionale ha un debito nei confronti di queste donne. Ha l'obbligo di aiutarle a liberarsi economicamente, la pratica dei microprestiti in questa direzione fa miracoli. Ma la battaglia su tutti questi punti non si vince se non si allargano le basi di libertà e se non si creano spazi per il coinvolgimento delle donne nella vita politica ed economica dei loro paesi".
Diritto al voto, diritto all'autodeterminazione, liberazione sessuale, rifiuto dell'estetismo di massa. Se dovesse indicare una nuova meta alle giovani, che cosa suggerirebbe?
"Combattere contro la guerra. Le tante guerre che sono in corso, da quella in Iraq, a quella in Afghanistan, a quella strisciante contro l'Iran, a quella contro il cosiddetto terrorismo internazionale, contro gli immigrati, i gay, i musulmani e contro tuti i cosiddetti diversi. Questo è un compito che le donne statunitensi, soprattutto le giovani, dovrebbero mettere al centro della loro realtà quotidiana. Non voglio sembrare fissata, ma la battaglia contro i criminali della Casa Bianca è fondamentale, e non solo per gli Usa, ma per il resto del mondo, perché se gli Stati Uniti diventano una nazione fuorilegge, che cosa può accadere mai al resto del mondo?".
Ma perché proprio la guerra? In fondo di problemi che affliggono specificamente le donne ce ne sono tantissimi e forse più immediati?
"La guerra è sempre più dura per le donne. Quelle irachene, afgane, sudanesi, cecene, latinoamericane. Più dura perché vengono uccise e ferite in numero maggiore degli uomini, perché vengono violentate, umiliate, private del diritto di essere. I loro figli sono uccisi e straziati, vengono private della dignità materna e recentemente da portatrici di vita sono state trasformate, da un establishment - quello militare - che è soprattutto maschile, in portatrici di morte. E non bisogna illudersi, lo sforzo bellico peggiora anche le condizioni di vita delle donne che vivono nel primo mondo, di sicuro delle statunitensi. Con tutte le risorse che vengono assorbite dallo sforzo bellico e dalle necessità di sicurezza, i fondi a disposizione della medicina preventiva, per la scolarizzazione, per la battaglia al cancro del seno e quello dell'utero, contro l'Aids e per ridurre la mortalità infantile diventano sempre più esigui. Non si investe più in servizi sociali, nella salute e nella scuola, ed è prioritariamente una forma di discriminazione contro le donne, perché sono loro quelle che soffrono appieno il peso dei tagli del welfare".
Ma questi sono fronti della politica tradizionale, qualcuno potrebbe sostenere che lei in qualche maniera pecca di paternalismo...
"Le femministe occidentali, ma in genere devo dire tutti i movimenti politici occidentali, sono diventate per certi versi edonistiche. La sessualità, il corpo, la bellezza, il mondo del lavoro, la gioia di vivere, questioni queste sulle quali nel passato ho scritto abbondantemente. Tutte sovrastrutture quando si considera il fatto che le donne in alcuni paesi emergenti devono ancora camminare chilometri per procurarsi l'acqua, che muoiono ancora in gran numero durante il parto. È tempo di smetterla di trastullarsi e darsi da fare con questioni concrete, di impegnarsi sul fronte della famiglia che soffre. I bambini soffrono, gli uomini soffrono e quando si girano intorno per consolazione trovano il deserto. Siamo diventati tutti accessori della macchina del consumismo. Accumuliamo beni invece di amicizie, viaggiamo dappertutto nel mondo invece di passare le giornate con i nostri cari. Sono sicura che se le donne occidentali riscoprono la centralità della famiglia anche gli uomini saranno incoraggiati a trovare un modo di sottrarsi alla duopolio lavoro-consumismo che monopolizza la loro vita. E stia certo questo avrà anche un impatto positivo sulla battaglia per preservare l'ambiente e le risorse naturali".
Tratto da: L'Espresso
4 gennaio 2008