Il vocabolario Zingarelli, la violenza che cresce, il papa e Ségolène Stampa
Appunti su questa fine estate.

C’è una notizia eclatante per il destino delle pari opportunità nel nostro paese, l’ha data oggi (29 settembre 2006) il TG2: nel vocabolario Zingarelli hanno introdotto la voce “quote rosa”.
A vedere il bicchiere mezzo pieno, è una buona notizia perché significa che ormai l’idea che le donne debbano “esserci” è passata; a vederlo mezzo vuoto è cattiva perché “quote rosa” è veramente una brutta espressione, il rosa richiama una certa idea delle donne che appartiene a una vecchia cultura fatta di trine, merletti e bambole per le femminucce e spadini, macchine e altri simboli del “pistolino” per i maschietti, una cultura che francamente ci farebbe piacere vedere relegata fra le vecchie cianfrusaglie.
Come l’idea dirigista e spartitoria di quote, che, nella stessa insopportabile logica dei delicati equilibri di potere fra i partiti, mortifica meriti e competenze personali in favore dell’appartenenza. Ma purtroppo le quote servono perché è ancora lunga la strada per arrivare a vedere in tivvù, mentre danno le notizie politiche ed economiche, un panorama umano che, in termini di mescolanza dei sessi, somigli a quello del paese.
Quindi meglio l’ ingresso delle quote rosa nello Zingarelli che la loro assenza dal lessico e dall’agenda politica.

A proposito di Pari opportunità, bisogna dire che finalmente si comincia a sentire che abbiamo un ministero delegato ad occuparsene. Barbara Pollastrini è intervenuta con una certa autorevole energia su due temi chiave: la violenza contro le donne e la laicità dello stato, al contrario della sua predecessora, molto sensibile alle logiche antilaiche della realpolitik.

Violenza e laicità sono i temi davvero caldi di questa fine estate
. La bella stagione (bella un tempo, ora se non sono alluvioni è caldo tropicale, alga tossica e aeroporti bloccati dall’allarme terrorismo) in Italia è stata un rosario ininterrotto di violenze sessuali contro le donne, con la ciliegina sulla torta di quelle forse ancor più rabbiose contro lesbiche e gay. L’impossibilità di accettare la libertà di scelta delle donne e dei non omologati alle certezze identitarie rassicuranti - che, insieme alla brutalità elementare di tempi che santificano il sopraffare, il possedere e l’arraffare, è al fondo del fenomeno - è del resto anche al fondo della questione della laicità.
A proposito di questa stavamo per scrivere sul nostro sito, preoccupate della levata di scudi di quei cattolici che sono ancora nostalgici dei valori dell’Italia democristiana contro l’affermazione, corretta e per nulla estremista, dei valori della laicità dello stato azzardata da Stefano Rodotà, quando papa Ratzinger ha pensato bene di rubare la scena propiziando con le sue colte quanto incaute citazioni una nuova potente fiammata di orgoglio islamico offeso (e soprattutto tagliando agli islamici non fondamentalisti il terreno sotto ai piedi). Questo papa è capace di coniugare le crociate illiberali contro le libertà che caratterizzano la cultura europea moderna (libertà di ricerca, libertà sessuale, diritto a disporre del proprio corpo) ai toni da crociata antiislamica contro quell’altra religione monoteista a cui aveva teso la mano poco prima in nome della comune difesa contro le tendenze dissolute del nostro tempo e della comune ostilità nei confronti del modernismo e dei valori materialistici che minacciano l’assetto della cultura patriarcale. Tende la mano agli altri modelli patriarcali di dominio, ma non sa trattenersi dall’affermare che il patriarcato cattolico è meglio degli altri. Insomma, il massimo. Quel che certamente papa Ratzinger ha in comune con gli imam più reazionari è che punta vigorosamente al passato anziché a un mondo futuro finalmente rispettoso delle differenze. Tempi duri per le donne sotto questo ombrello, molto più duri – certo – dove l’estremismo islamico spadroneggia, ma non tanto buoni neanche dalle parti dell’attuale successore di Pietro.

Saltando di palo in frasca, due parole su una notizia di questo scorcio d’estate che sembra più localistica ma non lo è: marcia su Roma dei politici di centrodestra a favore del ponte di Messina e riconoscimenti della validità e importanza dell’opera da parte del sottosegretario diessino Capodicasa (anche se la rimanda a tempi migliori, quelli cioè in cui riusciranno a mettersi d’accordo dentro la variegata galassia unionista). Pericolosa soprattutto la posizione espressa da Capodicasa: il ponte non è una grande opera come un’altra, il ponte è emblematico di un modello di sviluppo sbagliato. La sua costruzione non ha per nulla lo stesso segno, come qualcuno sostiene, di quella dell’autostrada del Sole negli anni ’50 e ’60 che preparò e accompagnò il boom economico e un sogno di futuro. È invece un potente simbolo della miopia sul nostro futuro, del gigantismo irrispettoso dell’ambiente e fine a se stesso, è l’incubo di uno sviluppo non a misura d’uomo ma a misura di una cieca circolazione di merci e di soldi.
Se il centrosinistra non riuscirà a darsi un’identità – alternativa a quella del centrodestra – rispetto alla questione centrale di proporre un modello di sviluppo chiaro e consapevole delle emergenze umane e ambientali del mondo e del nostro paese la sua navigazione approderà malamente e in maniera culturalmente subalterna alle stesse sponde turbocapitalistiche e cieche del centrodestra. È una grande preoccupazione che abbiamo e non vediamo segni rassicuranti.

In tema di consapevolezza delle emergenze del pianeta ci sembra invece che abbia le idee ben chiare Ségolène Royal, possibile candidata della sinistra alla presidenza francese, e non è perché siamo faziosamente tifose delle donne (ma, c’è poco da fare, più ci guardiamo in giro e più vediamo che sono loro che hanno lo sguardo rivolto al futuro molto più spesso degli uomini).
In maniera chiara e inequivocabile, in un intervento apparso su Repubblica del 19 settembre, la Royal enumera le emergenze e i compiti che pressano da vicino e, dopo una documentata analisi dei pericoli gravissimi in cui la violenza all’ambiente ci ha ormai prepotentemente cacciato, delinea l’unico modello di sviluppo possibile, attribuendo un’importanza centrale al rispetto a alla cura della natura: “Bisogna edificare l’Europa mettendola alla prova. Dal mio punto di vista, due cantieri fondamentali per avviare la costruzione di questa Europa “mettendola alla prova” sono l’ambiente e la ricerca”.
Sottoscriviamo, Ségolène, in bocca al lupo.

 

21 settembre 2006